Il supermercato del passato tra Disneyland e folclore

Il più grande Luna Park d’Italia è il passato: specie d’estate, quando la Penisola è attraversata da decine, forse addirittura da centinaia, di feste ‘medioevali’. Da ben venticinque anni Monteriggioni «di Torri si corona», ma nel frattempo un numero incredibile di località toscane meno note (da Malmantile a Momigno, da Fosdinovo a San Casciano, a Scansano con la sua «Giubilanza») ha preso ad offrire, in agosto, un temporaneo ritorno all’Età di Mezzo. Ma non è solo la Toscana: dal Piemonte (con Novara e Pernate) alla Puglia (Altamura), dalla Romagna (Brisighella) alla Campania (Vairano Patenora), dall’Abruzzo (Pizzoli) alla Sicilia (Randazzo) gli italiani sembrano felicissimi di abbandonare il presente per sprofondare nei cosiddetti secoli bui.

Naturalmente si tratta di un Medioevo fantasy, che non ha nulla a che fare con la storia, e che si risolve in un simpatico ibrido tra Disneyland, il gioco di ruolo e la rievocazione folcloristica con annessa sagra gastronomica. «Non lasciatevi scappare il processo pubblico e la condanna pubblica alla gogna, e i duelli della piazza d’armi praticati da veri professionisti», suggerisce il sito un po’ giustizialista di Festa Nova (rievocazione medievale di Fossanova, in Lazio): perché anche i cosiddetti ‘musei’ della tortura hanno posto nella bizzarra genealogia di questi improvvisati festival del passato, cui in fondo appartiene pure la rievocazione del mitico Giuramento di Pontida, celebrata ogni giugno dalla Lega (già) di Bossi. Non mancano, bisogna riconoscere, affondi più selettivi: a Castignano, nelle Marche, ci si dedica monograficamente agli immancabili Templari. E se a Viterbo si tiene «Ludika 1243», nella longobarda Cividale del Friuli si risale all’inizio del Medioevo, con l’iperspecialistico «Anno Domini 568».

Lo strepitoso successo di questo supermercato del passato ha cominciato a influenzare profondamente quella che gli economisti della cultura e i ministri per i Beni culturali chiamano la ‘valorizzazione’ – e che sarebbe più onesto chiamare la ‘brandizzazione’ – del nostro patrimonio culturale: cioè la sua trasformazione in un prodotto commerciale. Mentre la magnifica Cosenza vecchia va inesorabilmente in rovina, per esempio, il Comune lavora da anni ad un fantomatico Museo di Alarico che celebri il re barbarico leggendariamente sepolto nel fiume Busento. E naturalmente i solerti amministratori calabresi pensano già al pacchetto di manifestazioni collegate: il cui brand sarà «La Leggenda di Alarico».