Andrea Lissoni, intervista fiume

Curatori ce ne sono tanti, alcuni molto bravi, altri meno, pochi con una visione. Andrea Lissoni è tra quei pochi e lo ha dimostrato con coerenza. Non è di quelli che espongono una tesi: Lissoni preferisce mostrare un immaginario, e il suo appare scorrendo la lista dei nomi degli artisti con cui lavora e ha lavorato, tra cui Jimmie Durham, Apichatpong Weerasethakul o Mike Kelley, ma anche giovani italiani come Invernomuto, Moira Ricci, Riccardo Benassi. Ma cosa c’è stato prima dell’HangarBicocca (periodo che noi milanesi ricorderemo per un po’) e della Tate Modern, dove da un anno ricopre la carica di International Art (Film) Senior Curator? Andrea è partito studiando storia dell’arte, è passato per una borsa di studio al Pompidou, poi ci sono stati il festival Netmage a Bologna, la mostra Circular nello stadio San Siro, la Live Arts Week, l’insegnamento a Brera, la Fondazione Buziol, la Fondazione Ratti, un PhD in Audiovisual Studies.

Andrea ci piace per tanti motivi, anche perché è uno che a Milano ha fatto molte cose, l’ha vissuta e osservata con sguardo acuto e perché – ometterlo passerebbe per falsa modestia – è amico da sempre di Zero, che con lui ha dato vita a Cujo, una collezione di libri d’artista. Così, prima della sua ultima mostra da curatore dell’Hangar Bicocca (una personale di Philippe Parreno), gli abbiamo fatto qualche domanda.