Per nuovi diritti sui nostri dati digitali: Ubiquitous Commons

L’irruzione della connettività nelle nostre vite ridisegna l’assetto sociale: dal modo in cui creiamo e manteniamo le relazioni, al modo in cui acquistiamo e consumiamo beni e servizi fino ai processi di produzione di cultura e di valore sociale su più ampia scala. Al centro, di quella che la stessa Commissione Europea con l’omonima Iniziativa ha ribattezzato l’Onlife, ci sono i dati che tutti noi, in continuazione e in maniera più meno consapevole, produciamo, rielaboriamo e reimmettiamo nell’ecosistema in cui siamo immersi.

Un tale ecosistema ha generato fin qui un rapporto squilibrato tra chi produce dati e chi ne estrae valore di varia natura. Per riequilibrare il rapporto, generando non solo nuove garanzie ma anche inimmaginabili prospettive sociali e di mercato, il gruppo di ricerca internazionale Ubiquitous Commons – UC, capitanato da due italiani dell’ISIA di Firenze, sta mettendo a punto un sistema tecnico – legale.

Il lavoro avanza spedito, a sentire Salvatore Iaconesi, ingegnere robotico e Principal Investigator UC che interverrà a SCE 2015 – Citizen Data Festival a Bologna il 16 ottobre.
“Ubiquitous Commons – ci spiega Salvatore – è a tutti gli effetti un protocollo, ovvero un toolkit legale e tecnologico che permette alle persone di esprimersi su come vogliono che i dati siano utilizzati, secondo delle identità – individuali, collettive, anonime, temporanee o nomadiche – e degli scopi”.
Per intenderci, parliamo di tutti i dati generati da dispositivi elettronici e ambienti virtuali che usiamo e frequentiamo: dal frigorifero ai social network, dalla carte di credito alla tecnologia c.d. wearable.

La scelta di lavorare su Ubiquitous Commons nasce dalla costatazione che se da un lato è ormai riconosciuta la centralità dei dati nel nostro vivere e conoscere quotidiano, dall’altro nessun discorso pubblico viene elaborato su come le persone possano utilizzare questi dati e deciderne accesso, distribuzione e usi. Da qui prende forma il protocollo UC che, sul modello del Creative Commons, rappresenta una sorta di “metadato” utile a descrivere l’attribuzione e le possibilità di uso dei dati e che, sostanzialmente, facilita la vita dell’intera collettività

Secondo Salvatore Iaconesi ci confrontiamo con un’evidenza: esiste un enorme squilibrio tra il potere, praticamente nullo, che in questo campo detengono i cittadini – utenti e quello, spropositato, degli operatori economici. “Tra i tanti modi che ci sono di agire su questo disequilibrio – spiega – noi abbiamo scelto una modalità relazionale, cioè che tenga conto che le persone hanno desideri, punti di vista, valori e che, sulla base di questi, permetta loro di esprimersi su quali usi di questi o quei dati siano graditi e a quali condizioni. Non si tratta tanto di mettere dei paletti quanto di riassestare l’equilibrio di un’intera collettività, in cui rientrano i cittadini, le comunità locali, le amministrazioni, le aziende”.

Nonostante la sua giovane vita – il progetto è stato avviato solo quattro mesi fa –Ubiquitous Commons ha già prodotto e reso disponibile su git-hub un plug-in che, una volta installato sui social network come su gmail, rende crittografata ogni informazione inserita dall’utente, dando a quest’ultimo la possibilità di scegliere con chi condividerla. “Questo – precisa Salvatore – significa che, per accedere ai contenuti immessi, bisogna essere autorizzati tramite l’infrastruttura peer to peer e che, quindi, lo stesso Facebook potrebbe non avere accesso ai dati pubblicati dall’utente sulla sua piattaforma”.