Ottimismo, cosa rara: come mai?

Censisce il livello di ottimismo globale il 39esimo rapporto annuale sulle prospettive, le aspettative e le convinzioni degli abitanti di 68 diversi paesi del mondo. È pubblicato da Win-Gallup, ci dice che il 66 per cento delle persone al mondo si reputa felice della propria vita, con un decremento rispetto al 70 per cento del 2014.

Va un po’ peggio con le prospettive di miglioramento economico: solo il 45 per cento del campione ci crede, contro un 22 per cento di pessimisti e un 28 per cento convinto che le cose resteranno come sono ora.
Infine, un po’ più di una persona su due (il 52 per cento) spera che il 2016 sarà migliore del 2015.

ULTIMI PER SPERANZA, TERZ’ULTIMI PER OTTIMISMO

La classifica per nazioni vede prima per felicità la Colombia, prima per ottimismo su un possibile miglioramento delle prospettive economiche la Nigeria e primo per speranza il Bangladesh. Ottimismo e speranza sono tipici delle nazioni giovani ed emergenti, ricorda Gallup.

L’Italia è ultima per speranza in un anno migliore di quello passato (per dire: l’Italia è più disperata dell’Iran, della Grecia e della Palestina), terz’ultima per ottimismo, e si colloca (anche se solo al decimo posto) tra i dieci paesi più infelici del mondo.
Queste le percentuali italiane: 44% di felici contro un 43 per cento di infelici. Un miserrimo 8 per cento di ottimismo sul fatto che l’economia migliorerà contro un 55 per cento di pessimismo. Un modesto 15 per cento di speranzosi contro un 52 per cento che è senza speranza.

SOLO VECCHI O ANCHE DISFATTISTI?

Siamo così catastrofisti soltanto perché siamo un paese vecchio (un terzo della popolazione ha più di sessant’anni) e in preoccupante calo demografico? Notate che il calo deriva in primo luogo da un decremento delle nascite. E prima di spaventarvi (come tanti hanno fatto, non solo in rete) per l’incremento dei decessi, leggete questo articolo di Marco Cattaneo, direttore di Le Scienze. Ma faccio fatica a pensare che l’alta età media degli italiani possa, da sola, spiegare la depressione e il deserto di ottimismo registrati da Gallup. Ho il sospetto che c’entri, almeno un po’ il pernicioso fenomeno del disfattismo all’italiana, e che c’entri anche un po’ la propensione al “problem creating” (altro che problem solving!) segnalata da un bell’articolo su Linkiesta, dove peraltro si sottolinea anche la responsabilità dei media nell’enfatizzare le cattive notizie e nel creare allarme sociale senza guardare troppo per il sottile.