L’impresa Editoriale 1/2006

In un’epoca in cui per essere chiamati “guru” è sufficiente andare da una parte all’altra di un palco gridando nel microfonino, o insegnare come si cammina sui carboni ardenti, come dovremmo chiamare Peter F. Drucker? Basta “guru dei guru”? Perché se c’è stato negli ultimi cinquant’anni un maestro indiscusso del management e della gestione d’impresa, è stato proprio questo economista viennese trasferitosi negli Stati Uniti nel 1937 e morto alla bella età di 96 anni in California poche settimane fa.
Secondo Tom Peters, celebre “guru” degli anni Novanta, la dimensione e la dignità scientifica del management sono state create proprio da Drucker, che nei suoi 35 libri (The Effective Executive in Action uscirà postumo da Harper Collins nel corso di quest’anno) e nelle centinaia di articoli sul Wall Street Journal ha saputo essere anche superbo e insuperato divulgatore della materia.
Drucker ha anticipato la maggior parte delle teorie manageriali dell’ultimo mezzo secolo, dal “Management By Objectives” (frutto della sua esperienza di consulente alla General Electric tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta) al “Customer First”, al ruolo del top manager nella strategia aziendale (il termine chief of executive officer – Ceo – è di sua invenzione, anche se in anni recenti criticò l’eccesso di potere di tali manager e la degenerazione del sistema basato sulle stock options); dalla formula “la struttura segue la strategia” al processo di delega, alla leadership.
All’inizio degli anni Settanta fu il primo a proporre l’idea di privatizzare i servizi pubblici, sanità e università comprese, tanto che i conservatori inglesi gli riconobbero la paternità del termine.
Così come all’inizio degli anni Novanta fu tra i primi a comprendere le potenzialità inespresse del non profit, un settore dell’economia e della società le cui dimensioni furono da lui “misurate” scientificamente.
I suoi cinque principi base del management sono tuttora validi: fissare obiettivi, organizzare, motivare e comunicare, stabilire valutazioni delle performance e sviluppare le risorse umane. In particolare, in tutto il suo lavoro, Drucker ha posto l’accento sulle abilità dei manager come elemento chiave per un’organizzazione efficace ed efficiente. La sua visione del management è bene espressa in questa frase del 1973 contenuta in People and Performance: “Realizzare lo scopo specifico e la missione dell’organizzazione; rendere il lavoro produttivo e il dipendente in grado di produrre risultati; gestire gli impatti sociali e la responsabilità sociale.”
Concetti, soprattutto gli ultimi, anticipatori delle tematiche di corporate social responsibility che oggi sembrano scontati, ma allora erano assolutamente innovatori.
Infine, il concetto chiave della valenza universale del management, sempre ricorrendo alle sue parole: “Non c’è molta differenza tra la gestione di un business, di una diocesi, di un ospedale, di un’università, di un laboratorio di ricerca, di un sindacato o di un’agenzia governativa”. Allora molti si scandalizzarono, oggi questi principi sono, quasi, senso comune.
Ma ci piace ricordare anche l’uomo e il professionista che, in un’epoca di pensatori trasformati in personalità mediatiche, rifiutava ogni possibile distrazione. I “disturbatori” del suo prolifico buen retiro californiano ricevevano un messaggio prestampato