Andrea Lissoni: dall’hangar al museo

Il nome di Andrea Lissoni, per me, è legato al ricordo di uno dei primi tentativi di perlustrare il mondo dell’arte contemporanea al di fuori dagli schemi canonici: memorie visive, sensoriali, quasi incoscienti. Era una delle prime edizioni di Netmage, festival internazionale di live media multidisciplinari di cui è stato co-fondatore e co-direttore insieme al network Xing a partire dal 2000. Le sale affollate di Palazzo Re Enzo a Bologna, in pieno centro storico, in qualche gelida serata di gennaio. Netmage era una porta aperta sulla possibilità di intrecciare i piani audio-visivi e performativi attraverso il lavoro di artisti internazionali.

A distanza di quasi quindici anni, Andrea di strada ne ha fatta moltissima. Tra le altre cose, ha ricoperto dal 2011 a oggi (letteralmente) il ruolo di curatore della programmazione dell’Hangar Bicocca, uno dei pochissimi poli espositivi di livello internazionale presenti a Milano. Portando avanti una ricerca non solo di ottima qualità, ma anche coerente e con un’identità curatoriale specifica. Una rarità.

Lo incontro oggi per una chiacchierata in occasione dell’apertura della mostra Hypothesis, prima grande antologica in Italia di Philippe Parreno, l’artista francese contemporaneo forse più noto a livello internazionale. È il suo ultimo giorno di scuola, perché Andrea conclude cosi il ciclo di mostre che portano la sua firma all’Hangar Bicocca per dedicarsi interamente al suo nuovo incarico (in realtà già attivo da oltre un anno) di Senior Curator per l’arte internazionale presso la Tate Modern di Londra.

Partiamo dalla fine, dalla mostra.