Abbiamo ancora bisogno di un sito, e di un dominio?

La domanda sembra iperbolica, ma tutto sommato, se guardiamo a come trascorriamo il tempo online, non è così fuori luogo. Prenotiamo hotel su Booking, controlliamo il meteo sulla nostra app preferita (o magari ce lo dice Siri spontaneamente), chattiamo su WhatsApp e ci mandiamo messaggi vocali senza più nemmeno telefonare, poi arriva una notifica e ci buttiamo in una conversazione su Facebook. E nei momenti morti diamo un’occhiata all’app che seleziona le notizie migliori della giornata secondo un algoritmo che tiene conto delle nostre preferenze passate. Un po’ di stanchezza da lettura e allora via con il feed di Instagram o Tumblr (se siamo piccoli o adulti mai cresciuti) che tanto non ha mai fine e ci può intrattenere fino al nostro arrivo a destinazione.

A che ora passa l’autobus? Un’altra app ci dice che il 9 passa tra quindici minuti, c’è tempo per un caffè – aspetta: su un’altra app forse troviamo come si chiamava quella caffetteria appena aperta che ha un sacco di stelline e di recensioni.

Ok trovata, ci facciamo guidare da Google Maps, così non dobbiamo nemmeno fissare il nome delle vie per raggiungerla. Trovata. Facciamo check-in e mostriamo la foto il cappuccino con il cuore di cacao a tutti i nostri amici, tiè, appena in tempo perché l’altra app ci notifica che il 9 sta per passare, e ci metteremo circa 80 secondi a raggiungere la pensilina.

Rispetto a dieci anni fa, Internet è molto cambiata. Possono passare giorni prima che scientemente visitiamo un sito digitandone il dominio – al limite, lo googliamo, ma la maggior parte lo facciamo spinti da qualche piattaforma centralizzante dove trascorriamo buona parte del nostro tempo. E se lo facciamo, avviene all’interno di finestre di finti-browser blindati in cui Twitter, Facebook e compagnia ci tengono al guinzaglio. Due pagine, 30 secondi, e via. Perfino Google, il profeta di “link to the best” ormai ci dice lui direttamente un sacco di cose che fino a non tanto tempo fa avremmo letto su Wikipedia, o sul sito del museo di cui non riusciamo a trovare la biglietteria online o l’orario di apertura. Se cerchiamo un prezzo di qualcosa in vendita online, o le sue caratteristiche, sempre più le verifichiamo su Amazon. Se esiste, in Amazon ci sarà, pensiamo. O al limite su eBay. Se non c’è nemmeno su eBay, oddio, forse non esiste.

Possiamo vivere in una Internet in comodato (che ci sembra) gratuito? Come privati cittadini forse tranquillamente sì. L’utente medio del 2015 non ha più una considerazione epica della rete, come avevano gli early adopter nel 1995. Come dice spesso Mafe De Baggis, ai pesci non interessa l’acqua, e del resto non sanno cosa sia. La Rete è un mezzo per soddisfare fini immediati: in un mare di possibili letture, le persone cercano invece semplici risposte. E un po’ di Like per le loro foto delle vacanze.