Teoria e pratica delle organizzazioni internazionali

Come ripeteva spesso un fisico tedesco diventato piuttosto famoso per via di una certa formuletta, “non c’è niente di più pratico di una buona teoria”. Questo vale anche per il pensiero organizzativo e soprattutto per le aziende multinazionali, area in cui si avverte particolarmente la carenza di schemi teorici di riferimento che diano la consapevolezza delle variabili in gioco e delle ripercussioni, anche nel medio e lungo termine, che le scelte organizzative possono avere. La gestione delle risorse umane nelle organizzazioni internazionali, grandi o piccole che siano, presenta infatti caratteristiche e problematiche peculiari che richiedono un approccio specifico. La disciplina, sinora poco sviluppata in Italia, è ormai a uno stadio molto avanzato negli Stati Uniti, dove abbondano i testi inerenti all’international human resources management (Ihrm).

Il tema è, tra l’altro, di grande attualità in questi tempi di globalizzazione in cui molte aziende grandi e piccole guardano oltre confine in cerca di nuovi mercati o di opportunità per produrre a costi più competitivi. La questione interessa soprattutto la direzione Risorse umane per il ruolo che essa svolge all’interno dell’organizzazione. La gestione del personale è spesso ritenuta strettamente collegata al contesto nazionale e il controllo delle filiali estere da parte delle strutture di head office si limita in alcuni casi ai soli aspetti operativi e finanziari, evitando interferenze nelle decisioni manageriali locali. Si tratta di un approccio di basso profilo, basato il più delle volte su rapporti di delega personali tra l’head office e il country manager. Per essere solide e affidabile, ma anche sostenibili sul lungo periodo, le organizzazioni debbono però essere strutturate in maniera ben più complessa.

I fattori principali che influenzano l’azione manageriale delle aziende multinazionali sono i seguenti:

  • strategia di sviluppo aziendale (multidomestica, internazionale, globale);
  • struttura organizzativa (per prodotto, per area geografica, a matrice);
  • cultura di gruppo (etnocentrica, policentrica, globale).

Le più importanti aree di presidio dell’Ihrm sono le seguenti:

  • sviluppo organizzativo (mobilità internazionale, training, appraisals, succession plans);
  • comunicazione (lingua ufficiale, codice etico, mission aziendale, comunicazione di gruppo);
  • compensation (performance management, international assignment, benefit).

Ovviamente si tratta di uno schema molto grezzo che va affinato e sviluppato sui diversi livelli dell’organizzazione (livello corporate, livello regional e livello unit). Due aspetti vanno inoltre dovutamente evidenziati: 1) l’Ihrm tiene conto di aspetti organizzativi di sistema e non si occupa che indirettamente delle specificità delle singole unità organizzative; 2) non si tratta di traslare meccanicamente da un Paese all’altro modalità e politiche gestionali sulla base dell’assunto che tutto il mondo è paese e che quindi ciò che funziona in Italia deve necessariamente andare bene in qualsiasi altro posto. Per esempio, specificità culturali come la distanza tra i livelli gerarchici, i ruoli tra i sessi e la dimensione individuo-collettività o specificità istituzionali come il sistema delle relazioni sindacali, la normativa del lavoro, i tassi di disoccupazione, il sistema formativo e così via impongono problemi che vanno analizzati e gestiti a livello locale.

Per passare a qualche aspetto pratico pensiamo, ad esempio, alle conseguenze della scelta della lingua ufficiale. La scelta della lingua aziendale ufficiale ha riflessi di vasta portata sul funzionamento e sullo sviluppo delle organizzazioni. Sebbene vi siano distretti industriali in Romania, dove il dialetto veneto si è ormai quasi affermato come lingua franca, e lo stesso fenomeno sia in atto per il tedesco in ampie zone delle Slesia, su scala globale le barriere linguistiche rappresentano un ostacolo di non poco conto. Selezionare manager all’estero con il vincolo che conoscano l’italiano condiziona pesantemente la qualità delle risorse in ingresso. La stessa cosa si ripercuote nei sentieri di carriera, dove la conoscenza dell’italiano diventa un forte elemento discriminante per la promozione nella scala gerarchica. L’adozione dell’inglese come lingua ufficiale dell’azienda non è sempre una libera scelta, specie nelle piccole medie aziende dove in realtà è un dato di fatto determinato dalle caratteristiche del management, tuttavia un management lungimirante se lo porrà come obiettivo almeno nel medio- lungo termine.

Se questi temi vi sembrano interessanti vi propongo la lettura di un vero classico: si tratta di Strategy and Structure: Chapters in the History of the American Industrial Enterprise di Alfred D. Chandler. Nonostante sia ormai un po’ datato, o forse proprio per questo, vi assicuro che è molto più avvincente de Il codice da Vinci.