L’editoria è già digitale da 30 anni: parla Maurizio Maggiani

Nella sua carriera trentennale Maurizio Maggiani ha pubblicato, tra le altre cose, nove romanzi, un reportage di viaggio, una guida e un’invettiva. Ha vinto, tra le altre cose, un Premio Strega, un Campiello, uno Stresa, un Viareggio Répaci e anche un premio Ernest Hemingway. Ma Maurizio Maggiani non è uno scrittore.

«Io non sono uno scrittore. Io sono un narratore». Lo dice con la tranquillità di chi sa che le domande che la vita ti pone davanti sono ben altre, ma lo dice guardando negli occhi, sicuro di non sbagliare. È a Mantova a presentare il suo ultimo romanzo, Il Romanzo della Nazione, in uscita per Feltrinelli, e appena si siede su una delle sedie di cartone, una di quelle che trovi solo nella sala stampa del Festivaletteratura, si ferma a osservare e a tocchignare la tastiera nera che gli sta davanti. «È una bella tastiera questa, e non deve nemmeno costare molto, senta come suona…».

Non è un caso, questo sua passione per quella tastiera. E per capirlo basta chiedergli come ha iniziato a scrivere, magari aggiungendo una domanda su come sia cambiata la sua vita di scrittore quando ha smesso di scrivere a macchina o a penna per darsi al computer.

«Non è cambiata di una virgola», dice. E continua a guardare negli occhi, come fanno gli uomini quando non hanno segreti da nascondere. E sorride, anche, perché prima ancora della domanda successiva — un Perché un po’ stupito — quello stupore l’ha già capito dallo sguardo dell’intervistatore.

«Perché l’unica cosa che io abbia scritto a mano è stata il mio tema all’esame di maturità», risponde, godendosi la sorpresa che non se ne va dallo sguardo di chi ha seduto di fronte.

Quindi come ha iniziato a scrivere?

Partiamo da una premessa, io non ho mai avuto la vocazione di scrivere, potevo averne altre, ma quella no. Ho cominciato a scrivere a causa di un incidente in moto che ho fatto nel 1985. All’epoca stavo lavorando nel cinema industriale come operatore e mi son trovato a non potermi muovere. In quel momento come oggetto consolatorio — amo molto gli oggetti consolatori — mi sono comprato il primo Macintosh, il primo computer della Apple. Decisi quando vidi che quando scrivevo sulla tastiera il testo mi appariva sullo schermo come un libro stampato. Non ci misi molto a firmare le mie 24 cambiali, spendendo 5 milioni e 800mila lire. Poi cominciai a scrivere. Così, per sentire il chiocciolio di quella tastiera meravigliosa. Anche adesso, quando scrivo su una bella tastiera io mi sento come Ray Manzarek che fa un assolo sulla Hammond e sta dietro a Jim Morrison. È un piacere fisico.