Le nanotecnologie per la sostenibilità

Nel 2009, uno studio della Resilience Alliance, una rete di scienziati provenienti dalle più svariate discipline, ha correlato la crescita della popolazione mondiale – 7 miliardi nel 2014 – con le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del pianeta, identificando nove problemi che individuano altrettanti forti vincoli di sostenibilità per il pianeta: i cambiamenti climatici;
 la perdita della biodiversità; i cicli dell’azoto e del fosforo;
 la perdita dell’ozono stratosferico;
 l’acidificazione degli oceani;
 l’uso dell’acqua potabile;
 l’eccessivo sfruttamento del terreno;
 l’inquinamento chimico;
 la dispersione di specie gassose in atmosfera.

Le nanotecnologie possono aiutare a mantenere sotto controllo questi parametri, per esempio realizzando materiali biodegradabili ed ecocompatibili, perfezionando i processi di manifattura e rendendoli meno inquinanti, affinando la catalisi per salvaguardare e purificare l’ambiente e l’acqua, producendo fonti di energie innovative o riducendo il consumo di energia delle tecnologie tradizionali, ma tutti questi miglioramenti richiedono tempi lunghi, che rischiano di rivelarsi inconciliabili con la voracità energetica del genere umano e con la sua crescita rapidissima, se non saranno sostenuti da un sostanziale cambiamento delle politiche ambientali.

La speranza che il futuro dell’umanità sia più sostenibile è legata, come si diceva, allo sviluppo di tecnologie che consentano di migliorare lo sfruttamento delle risorse del pianeta, ma anche di ridurre le differenze fra le popolazioni del mondo e di rendere meno invasiva la presenza dell’umanità sul pianeta. La tabella 1 analizza alcuni processi globali del pianeta, come l’antropizzazione della sua superficie, confrontando i valori preindustriali e quelli attuali con i futuri limiti di sostenibilità, tenuto conto dell’atteso aumento della popolazione.

Processi globali del pianeta. Con radiative forcing si intende l’incremento del- la densità di potenza elettromagnetica sulla super cie terrestre, causato dalla luce so- lare che non viene più ri essa all’indietro a causa dei gas responsabili dell’e etto serra, e dunque causa il riscaldamento globale. (Fonte: J. Rockström et al., «A safe operating space for humanity», in Nature, n. 461, 2009)

I valori da raggiungere e mantenere rappresentano una sfida enorme, in termini tanto di risorse quanto di sostenibilità. Utilizzare solo il 15% della superficie terrestre, per esempio, implica enormi sforzi infrastrutturali e ambientali. Analogamente, il limite per il consumo globale di acqua uguale a 4000 km3 annui rappresenta un aumento in valore assoluto rispetto alla situazione attuale ma, considerando l’inevitabile incremento della popolazione e la necessaria ridistribuzione individuale, implica un’importante riduzione del consumo giornaliero procapite nei paesi avanzati. Questo non richiede solo una razionalizzazione dell’utilizzo, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie manifatturiere che impieghino minori quantità di acqua.

La figura mostra una ricostruzione fotografica del pianeta Terra di notte, come viene visto da satelliti che orbitano costantemente nell’atmosfera. Le zone più illuminate si concentrano chiaramente sulla costa orientale degli Stati Uniti, in Europa e in Giappone. A queste si contrappongono immense aree quasi del tutto buie, e altre aree molto grandi, fiocamente illuminate, nei paesi emergenti. Per quanto l’immagine non possa sostituire un’analisi quantitativa della distribuzione dell’energia nel mondo, è evidente come fra i diversi paesi esista grande disparità nella disponibilità di energia. Dove c’è energia c’è industria, trasporti e infrastrutture, forme di welfare avanzato, alimentazione, istruzione e sanità per i cittadini. E, di conseguenza, un’aspettativa di vita molto più lunga.

Ricostruzione fotogra ca da satellite della super cie della Terra durante la notte. Si notano le zone più illuminate corrispondenti ai paesi ad alto sviluppo, quel- le ocamente illuminate dei paesi emergenti e quelle pressoché buie dei paesi a bas- so sviluppo. (Fonte: nasa)

I paesi energeticamente forti sono quelli dove si vive di più. E, a pensarci bene, non deve stupire, perché sono quelli dove è più semplice avere un frigorifero che conserva i cibi, acqua ed elettrodomestici per l’igiene, un’alimentazione completa, ospedali e apparecchiature diagnostiche di alto livello ecc.

La situazione odierna vede il pianeta Terra con circa 7 miliardi di abitanti, il 20% dei quali ha a disposizione approssimativamente l’80% delle risorse energetiche e idriche. Lo squilibrio globale è fortissimo. Un pianeta è un sistema isolato e le risorse di cui dispone dovrebbero essere impiegate in maniera sostenibile ed equilibrata. In questo momento, invece, la Terra può essere paragonata a una bottiglia piena di acqua nella quale si pretende di mantenere il 20% del contenuto a una temperatura molto più alta rispetto al resto. Sia la termodinamica sia il buon senso ci dicono che questa situazione non può durare. Prima o poi, la temperatura del liquido contenuto nella bottiglia dovrà diventare uniforme.

Una situazione così squilibrata sarà difficilmente sostenibile su un pianeta che, per quanto grande, è sempre più sovrappopolato. La situazione tenderà peraltro a diventare sempre più complessa perché nei prossimi decenni la popolazione planetaria crescerà, secondo le previsioni, sino a sfiorare i 9 miliardi di abitanti. E questa crescita non riguarderà il 20% della popolazione che impiega l’80% delle risorse, bensì i paesi emergenti, che di anno in anno diventano sempre più energivori. L’attuale situazione di sbilanciamento, dunque, non potrà che peggiorare.

Dobbiamo pensare in maniera diversa al nostro futuro. Prima ancora di discutere le nuove fonti di energia, occorre considerare come migliorare e rendere più sostenibile l’uso di ciò che abbiamo, e il primo elemento da preservare è l’acqua.  Ci sono immense falde sfruttate in modo molto intenso, il cui livello è diminuito di circa 20 m fra il 1980 e il 2000, costringendo al pescaggio dai livelli profondi, dove l’acqua è più salina. Nello stesso tempo, i fiumi e i laghi sono diventati più salini per via dell’inquinamento – a causa in particolare di nitrati e solfati –, fenomeno che ha contribuito alla diminuzione della disponibilità di acqua potabile. E gli enormi volumi di utilizzo industriale dell’acqua fanno presagire una scarsità patologica per gli abitanti di alcune regioni più secche del mondo già a partire dal 2020.

Le nanotecnologie possono essere impiegate per sviluppare nanoassorbenti zeoliti, strutture nanoporose, nanoparticelle di ossido, polimeri assorbenti – per rimuovere metalli pesanti, cationi, anioni e inquinanti oleosi dall’acqua. Inoltre, nanocatalizzatori e nanoparticelle riducenti possono essere impiegati per convertire agenti tossici organici in composti innocui. Infine, il filtraggio biologico per la soppressione di batteri e patogeni potrebbe essere a dato a nanostrutture porose che contengano argento o ossidi di metallo.

È evidente però che non si potranno lavorare milioni di metri cubi di acqua con tecnologie di laboratorio, e dunque lo sviluppo di queste metodologie non potrà sostituire una politica oculata di uso e risparmio dell’acqua. Oggi, per esempio, l’estrazione del petrolio dagli strati profondi della Terra avviene pompando enormi quantità di acqua ad alta pressione nel sottosuolo. Tale acqua va recuperata, purificata e riutilizzata, così da evitare che l’estrazione di petrolio crei un danno ben più grande del bisogno che questo soddisfa. Analogamente, molti processi industriali manifatturieri usano l’acqua come agente di taglio (lame ad acqua) o di lavaggio, e necessitano di grossi impianti di ricircolo e purificazione per evitarne la dispersione.

Nei prossimi anni sarà inoltre necessario prendere coscienza del fatto che energia e acqua sono due bisogni umani profondamente correlati fra di loro. Generare un megawatt/ora di potenza elettrica (grosso modo il consumo di un piccolo centro urbano) richiede acqua per la produzione o l’estrazione del combustibile e per il raffreddamento in grande quantità, a seconda della sorgente: sino a 80 000 litri nel caso di una centrale a gas o vapore, che diventano 200 000 per una centrale a combustibile o a carbone, e fra 100000 e 200000 per una centrale nucleare. La crescita continua della richiesta di energia, oltre ad avere un impatto sull’inquinamento, ha dunque un impatto anche sulle riserve globali di acqua.

D’altro canto, benché il nostro pianeta sia ricco di acqua, questa è in larga misura salina (97%), e il costo energetico per produrre un metro cubo di acqua potabile a partire da quella salata varia fra i 2,5 e i 4,5 kW/ora. Per produrre un milione di galloni di acqua potabile (circa 3,8 milioni di litri), questo costo varia fra 1400 e 1800 kW/h se l’acqua è estratta da un lago, da un fiume o da una falda di acqua dolce, ma aumenta a circa 3000 kW/h nel caso di acqua recuperata e purificata da un processo industriale, e supera anche abbondantemente i 15 000 kW/h se si tratta di desalinizzare l’acqua marina.

La crisi dell’energia e quella dell’acqua vanno quindi affrontate insieme, sviluppando innanzitutto una cultura del risparmio, e in seguito metodi e processi industriali che minimizzino sia il consumo di energia sia quello di acqua. Infine, sarà necessario sfruttare nuove sorgenti ecocompatibili per l’energia e nuovi processi di purificazione dell’acqua che siano allo stesso tempo più efficienti ed energeticamente meno dispendiosi.

Se un essere umano ha bisogno almeno di 5 litri di acqua al giorno (valore che sale a 50 litri nel caso di una società sviluppata), oggi le famiglie europee consumano in media 165 litri di acqua al giorno. Quelle americane oltre 360. In Africa, al contrario, ci sono aree dove si arriva a malapena a 20 litri al giorno.

La depurazione dell’acqua richiederà nuovi sistemi di microfiltratura e lo sviluppo di membrane ingegnerizzate su scala nanometrica, e la comunità scientifica internazionale ha già iniziato a studiare processi di purificazione che sfruttino l’energia solare per la desalinizzazione o per puri care le acque di residuo producendo anche idrogeno (da immagazzinare per produrre a sua volta energia) mediante fotocatalisi.

Uno studio recente ha dimostrato che si possono cambiare le proprietà delle spugne in modo da farle diventare idrofobiche e simultaneamente oleofiliche, ovvero in modo che non assorbano acqua ma olio. Questa tecnologia sfrutta un processo di funzionalizzazione delle cavità interne della spugna mediante nanoparticelle di ossidi di ferro. Aderendo alle superfici interne della spugna, queste particelle (la cui grandezza non supera i 50 nm) ne cambiano la bagnabilità. Controllando la loro forma, composizione chimica e dimensione, è dunque possibile regolare quale liquido viene assorbito (olio) e quale fermato (acqua). Soluzioni di questo tipo consentono in linea di principio di elaborare filtri selettivi per rendere potabile l’acqua a partire dalla conoscenza della chimica dei suoi inquinanti.

Un ulteriore settore di applicazione delle nanotecnologie è quello alimentare. Soddisfare la domanda di cibo di un pianeta che fra vent’anni avrà 9 miliardi di abitanti è una sfida straordinaria, che include la minimizzazione dell’impatto ambientale nel settore agricolo e della produzione industriale del cibo, il controllo del cambiamento climatico, il miglioramento del packaging e il trasporto sicuro del cibo.

In futuro, aumenterà la richiesta di metodi per diagnosticare lo stato biologico e organolettico del cibo dopo lunghi trasporti, per modi care le caratteristiche chimico-fisiche di alcuni cibi (cioccolato resistente al calore, cibi la cui freschezza dura più a lungo ecc.) e per fabbricare confezioni che consentano una più lunga conservazione dell’alimento (membrane che trattengono umidità, bottiglie biodegradabili con resistenza alla luce e bassa permeabilità dei gas ecc.). Le soluzioni nanotecnologiche che si profilano all’orizzonte sono molteplici: dalla creazione di sensori biologici e genetici, piazzati all’interno del cibo o della sua confezione per monitorare l’esistenza di virus, tossine e batteri in quantità infinitesimali, a nanocompositi che funzionano come spugne in grado di rilasciare a velocità controllata essenze naturali o medicinali che servono a proteggere il cibo dall’attacco e dalla proliferazione di batteri e parassiti. Si parla in questo caso di sensori commestibili perché i composti sono del tutto naturali e biodegradabili, e diventano parte del cibo stesso.

Altro settore di capitale importanza è quello dei trasporti. Si calcola che in USA circa un terzo delle emissioni di CO2, oltre il 66% del consumo di carburanti e il 50% dell’inquinamento dell’aria dei centri abitati siano dovuti all’autotrazione. Una riduzione di questi consumi si potrebbe ottenere con una strategia combinata che punti ad affinare l’efficienza dei motori e ad alleggerire i veicoli, nel breve periodo, e a sviluppare un’autotrazione basata su un’alimentazione alternativa a quella a petrolio, nel medio-lungo.

L’alleggerimento dei mezzi non deve però andare a discapito della loro sicurezza, e la ricerca punta infatti a sviluppare materiali che siano più leggeri dell’acciaio ma molto più resistenti agli impatti. L’inserimento di nanocomponenti all’interno di una matrice polimerica causa una cementazione locale che consente di ottenere, a parità di peso, nanocompositi dieci volte più resistenti del metallo. A questa classe di materiali appartengono i composti con fibre di carbonio con cui vengono fabbricate le auto sportive, le biciclette da competizione superleggere e persino alcuni aeroplani.

Esistono molti altri problemi posti dalla salvaguardia dell’ambiente e del nostro ecosistema che possono trovare soluzioni in ambito nanotecnologico. Sorgenti di luce a basso consumo come i led di ultima generazione stanno progressivamente sostituendo le lampadine a incandescenza: consumano circa un decimo e durano da cinque a dieci volte di più. Dalla tecnologia led derivano anche le celle solari plastiche, che sono trasparenti, flessibili e colorate, quindi architettonicamente molto più adatte delle convenzionali celle di ossido di silicio a essere integrate negli edifici, nelle case e persino nell’abbigliamento.

Le loro efficienze sono più basse delle corrispondenti celle inorganiche, ma hanno il vantaggio di non dipendere dall’angolo di incidenza della luce solare, perciò funzionano abbastanza bene anche in condizioni di luce diffusa, potendo così essere installate su pareti verticali. Infine, i materiali nanocompositi possono essere ingegnerizzati non solo per essere più leggeri, ma anche per migliorare le coibentazioni e ridurre le dissipazioni di calore negli edifici.

 

© il Saggiatore S.r.l., Milano 2014

Estratto da Roberto Cingolani, Il mondo è piccolo come un’arancia (Il Saggiatore)