Intervista a Cory Doctorow: un futuro incerto

Cory Doctorow ti guarda fisso negli occhi, parla spedito e gesticola come un italiano, ma è un canadese che vive in Inghilterra. Giornalista, saggista, scrittore per adulti e ragazzi, da sempre si confronta con le nuove tecnologie ed è stato tra i primi a sostenere che il digitale non è in conflitto con il cartaceo. Per questo lascia scaricare gratuitamente dal suo sito i suoi romanzi, convinto che sia «una forma di promozione, perché chi ama il testo poi lo compra come volume per conservarlo con sé».

Scrive libri di fantascienza, o “fantathriller”, come Little Brother, suo libro uscito nel 2008 e pubblicato in Italia nel 2009 con il titolo X da Newton Compton, e ora di nuovo in libreria con il titolo originale, edito da Multiplayer.it nella traduzione di Francesco Graziosi e con un’introduzione di Bruce Sterling. Un romanzo per “young adult” ma che si fa leggere bene anche dagli adulti, e che dimostra come la letteratura di genere possa essere una lettura critica del nostro presente e possa suggerire vie d’uscita dalle situazioni peggiori.

È una storia di terrorismo e reazione alla repressione di Stato in nome della sicurezza, ambientata a San Francisco. Alla Chavez High School regna infatti un controllo informatico che s’illude di essere totale, ma Marcus, diciassettenne noto col nick “w1n5tOn”, è un giovane hacker e coi suoi amici Darryl, Vanessa e Jolu riesce a sottrarsi ai controlli, allontanarsi da scuola per partecipare a un gioco di realtà legato al videogame Harajuku Fun Madness e a trovarsi nel mezzo di un attentato terroristico. Come in una commedia (drammatica) degli equivoci, i quattro vengono arrestati, sequestrati, interrogati e torturati dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, e una volta liberati hanno l’ordine di restare in silenzio. Ma non lo faranno, e daranno vita a una comunità di ribelli che usano la tecnologia e l’informatica come uniche armi vincenti per denunciare quanto subito e cambiare le cose.

Mr. Doctorow, Little Brother dialoga col Big Brother di 1984 di Orwell, ma è little perché è vulnerabile. Da cosa nasce questa rilettura ottimistica?

A dire il vero non tutto è positivo nella mia lettura. Le nuove tecnologie hanno cambiato il mondo in cui viviamo, hanno dato a chi detiene il potere più possibilità di controllarci, ma grazie alle stesse tecnologie anche noi come individui abbiamo acquisito un potere mai avuto prima nella storia. Il mondo è cambiato, e non si può più ragionare di conflitti in termini di spie contro spie, governi contro governi, di fronte ai quali i cittadini tacciono inermi.

Gli stessi strumenti che servono per controllare le popolazioni possono essere usati dalle persone per opporsi a situazioni considerate sbagliate o inaccettabili. Ed è grazie a questo che sono nate nuove realtà politiche anche in Europa, come i Partiti Pirata, o come il Movimento 5 Stelle in Italia. Realtà sia di destra che di sinistra, nuove forme di organizzazione per le quali vale la pena di tentare, sia nel bene che nel male, di gestire i flussi di informazione e di proporre nuove vie di interazione e di intervento nel presente. Il futuro dunque non è mai stato così incerto. Per questo, pur con molti problemi, il finale del mio romanzo non è scritto in maniera così rigida e negativa come in 1984.

Bruce Sterling nella prefazione a Little Brother la paragona a Jules Verne. Come vive questo confronto?

Ne sono onorato. Basti dire che il secondo nome di mia figlia è “Nautilus”, come il sottomarino di Ventimila leghe sotto i mari. Leggendo i libri di Verne mi sono prima emozionato, poi ci ho ritrovato le aspirazioni e le paure che i francesi come tutta la società del tempo nutrivano nei confronti di tecnologie che si sviluppavano velocemente e che caratterizzavano, cambiandolo, il mondo. Io cerco di fare lo stesso.

Mi spiego: proprio Sterling dice spesso che in fondo i “fantathriller” sono romanzi di fantascienza in cui c’è tra i personaggi il Presidente degli Stati Uniti, solo che non parlano di come funzionano i computer. Tutti, nei romanzi e soprattutto nei film, usano laptop, pc di vario tipo, ma non se ne conoscono i programmi, le possibilità, le capacità, le specifiche. E a me interessa proprio questo: raccontare all’interno di una storia anche cosa e come si usa. Come faceva anche Verne, adesso che ci penso. La fantascienza per me è proprio una riflessione su questo argomento.