Le mappe collaborative che salvano migliaia di vite

Se vuoi salvare qualcuno dall’inferno, devi entrarci. A volte prende le forme di città enormi e impenetrabili: il centro è sulle mappe, ma nelle periferie le case crescono ammassate senza una strada che le colleghi, e interi isolati spariscono da un giorno all’altro per un incendio o un’inondazione. Le associazioni umanitarie sanno che là c’è bisogno di aiuto, ma non sanno dove andare. Le foto dei satelliti, da sole, sono tele impressioniste: senza una mappa precisa dell’inferno, nessuno può portarvi sollievo. Ma un modo c’è: da remoto, con un computer e un po’ di buona volontà, le mappe si possono costruire. Tassello dopo tassello, il mondo evoluto può mettere le città invisibili sulla cartina. La cartografia condivisa, in questo inizio di 2016, solo per fare un esempio, consentirà a Medici senza frontiere di affrontare le epidemie di colera a Lubumbashi, seconda città del Congo: un conglomerato urbano di tre milioni di abitanti ora mappato edificio per edificio. Sono ben cento le «mapathon», maratone per imparare a costruire mappe a partire da immagini satellitari, che in tutto il pianeta si sono attivate a fine 2015 per fare luce là dove impera il buio. In Italia, al Politecnico di Milano e alla facoltà di Ingegneria dell’università di Bologna, hanno partecipato centinaia di volontari.