I millennial italiani hanno perso la speranza nel futuro

Fra meno di un mese la più grande delle mie sorelle compirà 16 anni. E oltre a lasciarmi immensamente basito per il fatto che sto invecchiando a una velocità che non ritenevo possibile, questa realtà mi dà modo di vedere coi miei stessi occhi qualcosa che chi non ha modo di interagire con adolescenti nati dopo il 2000 non realizza: non sono come eravamo noi.

Uno dei ricordi più persistenti che possiedo degli anni del liceo è il tanfo di tutte le velleità artistico-umaniste di una generazione cresciuta dai ventenni degli anni Ottanta che si stipavano in un edificio pubblico. Il 70 percento (come minimo) dei miei compagni, compreso me, sognava di scrivere, di suonare, frequentava un corso di teatro; voleva studiare lettere moderne, filosofia o addirittura storia. E soprattutto dava per scontato, proprio d’emblée, che avrebbe avuto a disposizione un reddito per supportare tutte queste cose.

Alle mie due sorelle (nate rispettivamente nel 2000 e nel 2002) e ai loro amici non frega assolutamente un cazzo di queste cose. E non frega per il semplice fatto di essere pienamente, e smaliziatamene, consapevoli dell’irrimediabile indigenza economica a cui andrebbero incontro sognando di pubblicare un romanzo epistolare per minimum fax o a campionare il suono dei propri movimenti nel sonno per rinnovare la musica elettronica. Questa tendenza alla consapevolezza è dilatabile a molti altri paesi oltre che all’Italia, e dipende da molti fattori.

Ma nel caso specifico di questa analisi, il fattore che va sottolineato—e che ha dato vita al suddetto mutamento generazionale—è il grande evento che è intercorso fra gli anni in cui ho frequentato il liceo (primi Duemila) e oggi: la crisi.

Se la generazione delle mie sorelle ha appreso in modo naturale e quasi scontato come si sta al mondo in questa nuova realtà post-crisi priva di certezze e di speranze troppo sostanziose, è soprattutto grazie al “sacrificio” della nostra, l’ultima in ordine temporale a covare sogni di benessere esosi e in crescita uniformemente accelerata e costante, e la prima a scoprire in modo cruento che questi sogni non solo non si sarebbero avverati nella realtà, ma che non erano nemmeno più pensabili.

I nati fra il 1980 e il 1990 (rimanendo corti nella forbice generazionale) sono stati i primi a sbarcare sulla spiaggia di Omaha e scoprire in modo empirico come fra loro e delle mitragliatrici tedesche MG42 ci fosse solo un lembo di sabbia completamente sgombro e privo di ripari.
Tutte queste velleità e la completa ignoranza circa il proprio destino erano figlie di un periodo storico, il ventennio berlusconiano, di cui ancora non si è pienamente in grado di valutare l’impatto culturale. Il berlusconismo (e il sincretismo quasi meccanico del contro-berlusconismo) ha rappresentato una bolla di ovatta che oltre alla strana e irreale idea di benessere suscitata in gran parte del paese è stato in grado di isolare per un tempo prolungatissimo gli italiani da quello che accadeva al di fuori della sfera d’interesse di un vecchio miliardario con l’ego ipertrofico.